top of page

Sumud: resistenza e dignità

  • Immagine del redattore: Cristina Fazzi
    Cristina Fazzi
  • 3 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Abbiamo seguito con passione e commozione la missione umanitaria della Global Sumud Flotilla. Era purtroppo prevedibile che le autorità israeliane, in aperta violazione del diritto internazionale, non avrebbero permesso alle imbarcazioni di raggiungere Gaza. Si tratta di un atto doppiamente illegale: anzitutto perché avvenuto in acque internazionali, e poi perché ha colpito civili disarmati, impegnati unicamente nel portare aiuti umanitari. Le autorità israeliane affermano di aver preso il controllo di 41 imbarcazioni e di aver fermato circa 400 attivisti. Gli attivisti arrestati sono stati trasferiti nei centri di detenzione israeliani (come Ketziot).

È sconvolgente. Vedere il ministro israeliano Ben Gvir vantarsi davanti alle telecamere, mostrando le carceri come se fossero trofei e dichiarando che donne e uomini arrestati saranno trattati come “terroristi”, provoca un senso di rabbia e orrore difficilmente contenibile. Questo non è solo linguaggio politico: è la normalizzazione della disumanizzazione, la trasformazione della repressione in spettacolo.

Il partito sionista al potere in Israele continua a perpetrare crimini e atrocità sotto gli occhi del mondo, con una brutalità che non conosce vergogna. Ogni gesto, ogni parola, ogni atto sembra gridare impunità. E questa impunità è resa possibile dalla complicità di quei governi che forniscono armi, sostegno politico e copertura diplomatica.

È un oltraggio alla dignità umana. È l’ennesima pagina di una storia segnata dal sangue, dall’oppressione e dal silenzio complice di chi potrebbe fermare questo orrore e invece lo alimenta.

A che titolo sono stati arrestati? Perché dovrebbero essere considerati una minaccia per il governo di Israele, alla stregua dei terroristi? La risposta sta proprio qui: al di là degli aiuti materiali, la Flotilla rappresenta molto di più. E uso il presente perché altre imbarcazioni sono partite dalla Turchia e anche dall’Italia.

La missione della Flotilla, infatti, non è solo quella di consegnare cibo e beni di prima necessità a una popolazione stremata da mesi di violenza e oppressione estreme. Essa rappresenta la volontà di aprire corridoi umanitari attraverso il blocco imposto da Israele, la voce di chi si oppone a una politica di sterminio che perpetua sofferenza e morte, la testimonianza di chi non si rassegna a vedere un popolo cancellato nella quotidiana indifferenza internazionale.

E mentre il Ministro degli Esteri Tajani sostiene che “il diritto internazionale è importante, ma fino a un certo punto”, qualunque cittadino comune sa che in questi casi non esistono “mezze misure”: il diritto internazionale è legge. E intercettare le imbarcazioni della Flotilla, arrestando il loro equipaggio, rimane un atto contrario ad essa, una violazione ingiustificabile e imperdonabile.

Oggi fiumi di persone hanno invaso le strade d’Italia, rinunciando a un giorno di salario per Gaza, per gli attivisti arrestati, contro il governo Meloni che sostiene l’orrore. E Meloni, indifferente al genocidio, ha persino avuto l’arroganza di insinuare che chi ha scioperato volesse solo un “weekend lungo”. Un insulto vergognoso alle centinaia di migliaia di persone che hanno scelto la dignità e la solidarietà. L'Italia non è complice, la coscienza è viva, la solidarietà è un fiume in piena.

Sarebbe stato bello se tutte queste persone fossero anche andate a votare alle ultime elezioni. Le piazze sono essenziali e importantissime, ma votare lo è altrettanto. Alle ultime europee più della metà degli aventi diritto non ha votato, e l’ultimo referendum è fallito per mancanza di quorum. L’attuale governo, che oggi contestiamo nelle strade, è il frutto di una scelta (o di una non-scelta!) elettorale.

Ricordiamoci che la nostra arma più potente resta la matita elettorale: se vogliamo davvero cambiare le cose, dobbiamo usarla. Dobbiamo andare a votare. Ricordiamocelo alle prossime elezioni. Non siamo isole: siamo cittadini del mondo.

La tragedia palestinese ce lo ha dimostrato con brutalità: la scelta politica di un paese può dare forza, potere e arroganza a regimi totalitari che ripropongono la storia di un genocidio che non avremmo mai voluto rivedere. Dobbiamo andare a votare. Forse non sapremo sempre per chi votare, ma sicuramente sapremo per chi NON votare.

I bambini palestinesi trucidati o lasciati morire di fame dai sionisti.

Gli attivisti che portano aiuti umanitari arrestati e imprigionati come terroristi.

I politici complici che coprono questo orrore denigrando chi lotta per i diritti umani.

I giornalisti servi del potere, che offendono dai salotti televisivi chi rischia la vita per difendere l’umanità.

I fiumi di persone che si sono riversati nelle strade, sacrificando un giorno di salario per dire “basta” agli orrori sionisti, "basta" ai governi che li alimentano.

Tutto questo, per favore, ricordiamocelo alle prossime elezioni.

E ricordiamoci anche che i dittatori e i governanti crudeli muoiono. Ma le loro idee no. Le loro facce scompaiono dai palazzi e dai balconi,i ma le loro idee, cariche di odio, violenza e disprezzo per la vita, non muoiono con loro. Continuano a camminare, a propagarsi, a infestare la società. Camminano sulle gambe di chi li vota, sulle labbra di chi li giustifica, nelle mani di chi ne raccoglie l’eredità per perpetuare gli stessi crimini.

Questa è la tragedia della storia: i tiranni passano, ma le loro ombre restano, e diventano più insidiose proprio perché si travestono da normalità. Ogni volta che un popolo dimentica, ogni volta che abbassa lo sguardo, ogni volta che si lascia paralizzare dall’indifferenza, quelle idee tornano a farsi vive, a farsi potere, a farsi orrore.

Per questo il compito di chi resiste è così grande: non basta attendere che i dittatori muoiano o vengano deposti, bisogna spezzare la catena delle loro idee. Bisogna riconoscerle, smascherarle, combatterle ogni giorno, nei gesti concreti, nelle scelte politiche, nelle piazze e soprattutto nelle urne elettorali.

La libertà e la giustizia non si ereditano: si conquistano, si difendono, si costruiscono insieme. E oggi più che mai dobbiamo ricordarcelo.


ree

Commenti


Non puoi più commentare questo post. Contatta il proprietario del sito per avere più informazioni.
bottom of page