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La storia vera di Judith e la lotta per i diritti umani

  • Immagine del redattore: Cristina Fazzi
    Cristina Fazzi
  • 8 set
  • Tempo di lettura: 3 min

Questa è una storia vera. La condivido con voi come testimonianza di una realtà che, purtroppo, riguarda molte persone in Zambia: il traffico interno a scopo di sfruttamento domestico. Con la mia associazione Twafwane, ogni giorno ci impegniamo in molteplici progetti umanitari, che hanno anche lo scopo di informare, sensibilizzare e proteggere. Perché solo conoscendo i rischi, le false promesse e i meccanismi dello sfruttamento possiamo prevenirli e combatterli.


Un incontro in clinica: la voce di Judith

Era una luminosa giornata di luglio quando Judith entrò nel nostro ambulatorio di Kantolomba, l'Ishuko Clinic, che offre assistenza sanitaria gratuita alle persone più vulnerabili. Sedici anni, lineamenti delicati, capelli ricci e corti, due splendidi occhi nocciola: grandi, scuri, velati di tristezza. Mi colpì subito quello sguardo pieno di lacrime non dette.

Diceva di sentirsi male: mal di testa continui, nausea, vomito. Il test della malaria risultò negativo, ma intuivo che dietro quei sintomi ci fosse altro. Tra una caramella e un sorriso, poco a poco si aprì e mi raccontò la sua storia.

Originaria della Eastern Province, era stata portata a Ndola da alcuni parenti con la promessa di poter studiare. In Zambia la scuola è gratuita fino al grado 12 (ultimo anno di scuole superiori) ma libri, uniformi e quaderni restano spesso un lusso. Judith partì piena di speranza. In città, però, la realtà fu diversa: la scuola diventò l’unico momento di respiro.

A casa della zia era costretta a cucinare, lavare, prendersi cura dei bambini... trattata come una serva senza diritti. «Sono stanca, mi trattano malissimo. Mia madre non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita così» mi confidò con lo sguardo cupo.


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Il traffico interno e la violazione dei diritti umani

Judith era una delle tante vittime del cosiddetto domestic labor trafficking: persone, soprattutto giovani donne, convinte a trasferirsi dalle aree rurali verso città come Lusaka, Ndola, Kitwe o Livingstone con la promessa di istruzione o lavoro sicuro.

La realtà è ben diversa: vengono sfruttate, con salari inesistenti o insignificanti, sottoposte ad abusi fisici e psicologici, isolate e private della libertà. Una pratica che rappresenta una grave violazione dei diritti umani, ma che purtroppo viene ancora poco denunciata per paura e stigma.

Attraverso i nostri progetti socio-sanitari lavoriamo ogni giorno per offrire non solo sostegno, ma anche informazione, attività educative e percorsi di sensibilizzazione per proteggere i ragazzi e le ragazze vulnerabili e garantire loro un futuro diverso.


Una nuova possibilità per Judith

Oggi Judith non vive più con quella zia. È seguita dal nostro psicologo ed è stata accolta da una cugina che ha compreso la situazione. La zia che la sfruttava è stata segnalata alle autorità competenti. Era convinta di avere il diritto di sfruttare Judith solo perché le permetteva di andare a scuola. Ma la scuola è un diritto, non una forma di compenso. Il lavoro domestico imposto a Judith costituisce sfruttamento ed è punibile dalla legge. Il vero cambiamento nasce dall’unione di solidarietà, educazione e rispetto dei fondamentali diritti umani.


Dare voce a chi non ce l’ha

La voce di Judith non è soltanto la sua. E' anche quella di tante altre ragazze e donne che riescono a trovare il coraggio di farsi ascoltare. Raccontare queste storie, per me, significa dare voce a chi non ce l'ha, significa restituire dignità alle vittime e aprire gli occhi a chi ancora non conosce questa realtà.

Informazione, sensibilizzazione e solidarietà sono strumenti fondamentali per continuare a portare avanti progetti che tutelano la salute e il futuro dei giovani.


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