Visitando il cimitero: un viaggio d’amore e memoria
- Cristina Fazzi
- 2 nov
- Tempo di lettura: 4 min
Mio nonno, ’u Zze Vicinzinu, aveva un rito tutto suo. Almeno una settimana prima del 2 novembre andava al cimitero. La tomba di famiglia era ancora vuota, ma lui la puliva con cura, come si prepara una casa per un ospite atteso. Spazzava il pavimento, spolverava l'altare e lucidava i vetri.
«Bisogna tenere la casa sempre pulita, perché non sappiamo quando 'u Signuruzzu ci chiamerà» diceva, con quella calma che solo chi conosce la vita e la morte può avere. E così, la “casa” doveva essere sempre pulita e in ordine. E infatti questo rito si ripeteva almeno una volta al mese.
Poi facevamo il giro delle tombe dei parenti, per assicurarci che tutto fosse in ordine. C’era una piccola tomba, dove, insieme ad altri defunti, riposava anche una piccina di pochi anni, sua figlia, morta a causa di una malattia allora incurabile.
«Compravamo le medicine a Palermo» raccontava. «Abbiamo fatto di tutto con la nonna, ma alla fine il Signore l’ha voluta fra gli angeli. Come mia sorella Teresina, morta di tubercolosi mentre io ero al fronte, sul Piave. Avevo diciannove anni. Non mi permisero di tornare a Enna per il funerale.»
E gli occhi gli si velavano, perché il dolore per la perdita di certi affetti, anche se a lungo andare si fa preghiera, scava un solco nel cuore che nulla e nessuno potrà mai cancellare.
Le storie e la memoria
Per ogni tomba c’era una storia: d’amore, di passione, di dolore, di tenerezza. Non li avevo conosciuti, quei parenti lontani, ma attraverso mio nonno avevo imparato ad amarli. La sua voce li riportava in vita e io li sentivo miei.
La tomba di famiglia, ovviamente, non restò vuota per sempre. Prima la nonna, 'a Zze Marietta, poi lui, 'u Zze Vicinzinu, poi la dolcissima zia Elvira e, infine, da tre anni, mio padre.
Finché sono rimasta in Sicilia, con lui ripetevamo ogni anno quel giro rispettoso e affettuoso tra le tombe di famiglia. A ognuno un fiore, una candela, una preghiera. Era un momento di raccoglimento e di vita, nonostante il Cielo fosse ormai la loro nuova dimora.
I totò e i dolci della memoria
Con mio padre ripercorrevamo le storie di mio nonno, che erano state anche le sue.
Mi raccontava di quando, da bambino, andava al cimitero insieme ai genitori e mio nonno, per invogliarlo a camminare, faceva finta di trovare per strada dei “totò”, dolcetti tipici della nostra tradizione siciliana, che si era nascosto in tasca prima di uscire di casa.
I “totò”, bianchi o neri, ricoperti di glassa alla vaniglia o al cioccolato, si accompagnano alle “ossa dei morti”, dolci durissimi a base di zucchero e farina, che in questo periodo dell’anno trovi in ogni panificio e pasticceria nella mia amata Enna. Hanno decisamente un sapore di infanzia e di festa e praticamente li trovi in ogni casa.
Il giorno dei morti: una festa di luce
Essendo nata il 30 ottobre, ho sempre associato fin da bambina la commemorazione dei defunti a una sorta di festa. Il cimitero, pieno di fiori, di luci e di gente, ai miei occhi di bimba appariva come un tripudio di colori e di gioia e, in fondo, questo sentimento, l’ho in parte conservato anche crescendo. Sarà per questo che adoro i crisantemi, soprattutto quelli grandi e gialli, e chi mi conosceva, quando vivevo a Catania, me li regalava per il compleanno, tra le scuse imbarazzate del fioraio. Ma io li trovavo bellissimi, solari, pieni Vita. E infatti, in molti paesi sono fiori come tanti altri, non necessariamente destinati ai defunti.
Ancora oggi penso che il 2 novembre in fondo sia una festa, un giorno in cui il tempo sembra fermarsi per permetterci di tornare a parlare con chi amiamo. Un giorno di fiori, di preghiere, di visite.
È vero: il rispetto si deve ai vivi, non solo ai morti, perché serve a poco piangere su una tomba se non si è saputo rispettare o amare in vita. Ma ognuno ha la propria storia, il proprio vissuto, che noi non conosciamo. Ognuno ha il proprio modo di portare e sopportare il dolore. E non spetta a noi giudicare.
La pietra che unisce
Trovo profondamente tenero e commovente che il cimitero, luogo apparentemente freddo, possa invece racchiudere tutto ciò che di più umano esiste: l’amore, il rimpianto, la compassione, il rimorso, i dolci ricordi, le frasi mai dette, i sentimenti mai espressi.
Quella pietra fredda diventa un punto d’incontro tra chi è partito e chi è rimasto. E questo, più di ogni altra cosa, mi fa riflettere e allo stesso tempo mi emoziona.
Credo fermamente che la vita terrena sia solo un tratto breve di un viaggio molto più lungo, che continua oltre ciò che possiamo vedere e toccare. La morte non spezza, ma trasforma.
Permette di cogliere ciò che in vita era rimasto taciuto.
Che senso ha portare un fiore a chi non abbiamo mai cercato o addirittura amato? Forse per noi, che siamo ancora qui, non ne ha molto. Ma siamo davvero sicuri che non ne abbia per chi ci guarda “dall’altra parte”?
Ricordi lontani, amore vicino
Trovandomi in Zambia rimando la mia visita al cimitero ai momenti in cui mi trovo in Sicilia. Tuttavia, ogni 2 novembre torno con il cuore al “mio” cimitero, al cimitero dove riposano i miei cari, per ricordare e onorare la vita che continua, anche oltre la morte. Gli occhi si fanno lucidi, come quelli di mio padre e prima ancora di mio nonno, ma nel cuore alberga la speranza che un giorno il nostro amore possa ricongiungersi in un unico grande abbraccio.
È così. La vita è un continuo movimento, un fluire di trasformazioni. Ogni cosa ci sfiora, ci tocca e poi sembra svanire. Eppure la sua essenza rimane, rimane sospesa tra memoria e cuore.
"Per sempre camminerò su questi lidi,
tra la sabbia e la spuma.
L’alta marea cancellerà le mie orme,
e il vento soffierà via la spuma.
Ma il mare e la spiaggia rimarranno
per sempre."
Kahlil Gibran



